A quali norme deve sottostare il privato?

norme della sharing economy

Vi ricordate quando una volta non c’era il cosiddetto benessere e le persone si incontravano spesso e non avevano a disposizione internet o gli smartphone?

Era un periodo verrebbe da dire governato dal buon senso.

Non è mia intenzione assumere le difese di chi sostiene che “si stava meglio quando si stava peggio”. Intendo invece utilizzare questa immagine per puntualizzare qualcosa della sharing economy.

Contrariamente a quanto sembrerebbe consigliare il nome così di attualità, le pratiche di consumo collaborativo sono sempre esistite. Ma perché solo oggi sono diventati così importanti?

É presto detto: la diffusione di internet e il progredire delle apparecchiature ad esso collegate, permettono oggi a grandi masse di persone di entrare in contatto tra di loro.

 

Quello che una volta era un fenomeno legato e spesso circoscritto all’ambiente famigliare è oggi un evento di massa.
Ne consegue che il buon senso non può più essere l’unico strumento atto a regolamentare la sharing economy. Facciamo un esempio:

In passato, poteva capitare che ospitassi una persona a casa e che questa volesse ricambiare in qualche modo. Pensiamo ad un mazzo di fiori, una bottiglia di vino o qualsiasi altro bene.
Ora immaginiamo che 100000 persone offrano gli stessi prodotti in cambio dello stesso servizio.

Si potrebbe a questo punto disegnare un panorama nel quale una piccola cittadina viene letteralmente riempita di mazzi di fiori, ad esempio. E ai piccoli fiorari chi ci pensa?

 

Questo è il nodo cruciale del consumo collaborativo allo stato dei fatti. Si tratta di un’usanza talmente diffusa da rappresentare un rischio.
Il pericolo, badate bene, non è di tipo economico (come spiegato negli articoli precedenti) ma è altresì di sicurezza e legalità.

Non vogliatemene a male se utilizzo ancora un esempio o meglio, un fatto concreto.
La città di Milano si è resa conto che recentemente le realtà parallele al servizio di taxi occupano un ruolo quasi dominante. Questo vuol dire che ogni giorno, per le strade di milano circolano un gran numero di vetture che svolgono un servizio di taxi pur non avendo pagato la licenza e soprattutto subito i controlli.

Se ora accostiamo il fatto che statisticamente una persona su cinque a Milano fa uso di cocaina, ad esempio ci renderemmo presto conto di quanti pericolosi guidatori ci sono per strada.

 

Questo tuttavia non è l’unico problema. Chi si fa pagare per offrire un alloggio quanto denaro può chiedere in cambio? Quali norme deve rispettare?.
Non ci girerò molto intorno: chi fornisce beni o servizi in cambio di denaro senza essere in qualche modo “inquadrato” dalla legge è in torto.
Un controllo delle forze dell’ordine a casa di un qualunque cliente di Airbnb, uber o gnammo porterebbe a sicure sanzioni.
Ci tengo a precisare che questo però non è il caso di altre realtà come ad esempio HomeLink.

Il consumo collaborativo che io definisco “vero” non comporta uno scambio di denaro. Nel nostro caso si è perfettamente nella legalità perché si scambia un alloggio o un servizio in modo reciproco.
Il guadagno che deriva dall’esperienza con HomeLink è assolutamente culturale.
I grandi marchi potranno cercare in eterno di convincermi che è sociale offrire un appartamento in cambio di denaro. Per me resterà sempre un affitto; anche se camuffato da “sharing economy”.

Ecco pertanto la risposta alla domanda iniziale:
A quali norme deve sottostare il privato?

 

A quelle vigenti nel proprio Paese. Al momento, in Italia (e non solo) chi è iscritto alla maggior parte dei siti di sharing economy (Airbnb, Uber, Gnammo, vizeat) è in torto e potrebbe essere chiamato a rispondere delle proprie azioni.

Per quanto riguarda poi la qualità del servizio vi rimando al prossimo articolo sulla teoria dell’autoregolamentazione.

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